Era un’afosa giornata di maggio, più precisamente il 12, quella dedicata alla consueta visita annuale al vate della zona da parte del nobile Aubry Dubois. Quel meriggio – orario prefissato per l’appuntamento – il nobile Dubois era più quieto del solito, tranquillizzato sugli esiti della visita dal suo miglior compagno, il duca Mars de Boité; il quale non molto tempo prima procurò al nostro cheto nobile un’occasione lavorativa ghiotta e illuminante: il nobile Dubois, dopo l’ultima disastrosa visita profetica, cadde in rovina per mano di un’abbietta bancarotta, causata da cagioni tutt’ora ignote ma comunque preconizzate dall’abile vate della zona; così, dopo qualche mese passato a tapinarsi, il nobile venne risollevato dal solenne aiuto del duca de Boité, che spacciò a Dubois un impiego come reggente di un prestigioso sito archeologico limitrofo. Dunque, il nostro nobile, bello della sua ritrovata fortuna e del superamento di tante ardue peripezie, era convinto – e pure persuaso – del buon risultato dell’odierna chiaroveggenza. Entrato nell’illustre studio del rinomato veggente, Dubois si accinse ad interloquire con egli, ansioso di confermare le sue impressioni. Il veggente però non confermo proprio un bel nulla! Non era questo ciò per cui era pagato! Chi vorrebbe pagare un veggente se il futuro si lasciasse intravedere dopo appena quattro speculazioni in croce? No, non funziona così, ogni pensiero sul futuro vien sempre disatteso se esso non proviene da una mente illuminata, connessa liberamente al flusso temporale, avezza ai consigli di Dio. Dubois uscì dalla stanza impietrito, sul ciglio di una geremiade, trattenuta solo per rispetto dei presenti: il destino che gli era stato predetto era più truculento di un assassino, più putrido dell’annosa Bis-bis-nonna Romary Dennet, più tetro di un bosco infestato durante una fragorosa procella. Il nobile, preso dallo scoramento, non riusciva a ingollare il boccone amaro e dolente e già pensava di uccidersi se non fosse per una reminiscenza fulgida e salvifica, che dopo esser stata dimenticata inesorabilmente per via dei numerosi pensieri vittimistici e gemebondi, riaffiorava dall’oblio della memoria: il veggente preconizzò al nostro nobile sfigato una via di fuga, un rito da compiere per eludere l’imminente ginepraio crudele: <<C’è però un che da fare per sfuggire alle grinfie del tuo destino sanguinoso, per evitare gli artigli appuntiti della tua sorte iniqua. Tu caro mio, dovrai disseppellire da te, ed entro oggi, il rimedio ai tuoi mali: dovrai riesumare una vetusta scatoletta ornata con rifiniture appartenenti al retaggio greco e azzimata da un disegno in oro posto sul coperchio della scatola. Il disegno dai lineamenti sbiaditi raffigura una grossa torre, molto simile al distrutto Faro di Alessandria; per l’ubicazione di tale cimelio, invece, tutto ciò che posso dirti è che si trova in un sito archeologico qui vicino>>. Dubois galvanizzato da questo ricordo salvifico, tramutò il clima sofferente ed algido della sala in uno ardente e colmo di gaudio, che vedeva il suo apice nel viso gongolante del nobile stesso. Ovviamente egli sapeva che il suo destino non avrebbe potuto far altro che nascondere il rimedio per i suoi mali nel suo sito archeologico – il destino degli altri è la fiera del “suo”. Guardò l’orario e poi partì velocemente alla volta del sito archeologico, senza neanche avvisare il suo compagno duca, che alla vista di quella corsa perentoria divenne assai perplesso. L’arrivo a destinazione avvenne in tempi record; in quella giornata, comunque, non era prevista nessuna visita data la chiusura momentanea del sito, quindi Dubois aveva piena libertà. Dopo due ore di estenuanti ricerche, il nobile aveva già scandagliato e messo a soqquadro praticamente tutto il sito, ad eccezione di una stanza, la più recondita: dietro ad una statua marmorea della collezione di Delfi, si celava un angusto passaggio dall’aspetto sciagurato che conduceva ad un penetrale ancor più terrorizzante, a tratti orrorifico: le pareti che aprivano la stanza erano esornate da tibie e radio unite, che formavano delle decorazione astratte assai suggestive, se non fosse per il loro carattere spaventevole predominante; le pareti ai lati, invece, si lasciavano scevre di ossa – grazie a dio – e conservavano solo alcuni affreschi di vita quotidiana – in cui però i protagonisti erano dei simpatici non-morti; la parete frontale, però, non si tratteneva certo sul lato raccapricciante, infatti era adornata da una serie di teschi e mani appese al muro che evidenziavano una scatoletta sul pavimento con una torre raffigurata sul fronte. Quella era l’immagine che Dubois stava con tanto fremito cercando, così si fece forza e si appropinquò all’enorme catasta di teschi, poi raccolse la scatola; dopodiché sgusciò con celerità dal tetro penetrale – senza porsi domande inquisitorie sui gusti dell’arredatore – sino a raggiungere l’uscita del sito. Ritornato a casa, ed appartatosi vicino ad un chiaro di luna – ormai si era fatto piuttosto tardi – entrante dalla grande finestra del suo studio, si decise ad aprire quella fausta scatola con la gioia propria d’un bambino: l’interno della scatola nascondeva un polveroso foglio di carta arrotolato – certo che la polvere per entrare persino nelle scatole dev’essere proprio in gamba -, aperto subitaneamente da Dubois, che lesse:
<<Cara Mamma, ti scrivo oggi per augurarti ogni bene che possa esser in dono ad un mortale, per regalarti la mia apprensione e i miei pensieri; ti scrivo per poter continuare a sperare su di un soggetto tanto dignitoso e meritevole. Cara Mamma, oggi è il tuo giorno, oggi è il tuo rito, ma io ti vedo in ogni mia vita.
Jean Mitreres 13/05/1432>>.
Era chiaro, non appena Dubois lesse la data si rese conto che quello segnato era il giorno di domani – senza contare l’anno -! Aveva scordato il regalo per la propria madre! In un attimo la situazione divenne perspicua e capì che la cagione di quell’infausto destino era sua madre. Tralasciando l’inquietudine della scoperta, il da farsi era già deciso: si doveva provvedere ad un regalo. Il tempo era ormai proibitivo però: in strada non c’era più nessun negozio aperto. Dunque, ciò che ci voleva era un bel regalo amatoriale, e tutto ciò che il nobile sapeva fare era scrivere! Che si narri quindi, anzi scrivi, una storia; ma quale storia? Beh… se non altro quel giorno si prestava ad una più che dignitosa trasposizione letterale.